Risalire il vento di bolina: il difficile mestiere delle Organizzazioni umanitarie nel Mediterraneo

da | Assistenza sociale e protezione civile, Cooperazione e solidarietà internazionale, Settore di Attività

Sono oggi soltanto cinque le organizzazioni umanitarie presenti sul Mediterraneo per contrastare l’emergenza dell’immigrazione, proprio mentre le nuove rotte dei trafficanti richiederebbero risorse più significative per i salvataggi.

Nel clima elettorale nel quale si trova l’Italia in queste settimane, il tema dell’immigrazione sul Mediterraneo è stato sollevato soltanto come appello di consenso, da una parte quanto dall’altra. Ma lo stato in cui si trovano ad operare le organizzazioni umanitarie nel Mediterraneo necessiterebbe di ben altra discussione politica, soprattutto in casa nostra.

Il problema di fondo per l’opinione pubblica è rappresentato dalla pericolosa deriva che la politica italiana, ed europea, hanno assunto nei confronti delle stesse organizzazioni umanitarie dall’estate scorsa quando, sfruttando le vicende poco trasparenti di alcune Ong, (come quella della nave Iuventa, ad oggi posta sotto sequestro nel porto di Trapani) alcune forze politiche europee hanno cominciato una progressiva campagna di diffamazione delle Ong impegnate nel Mediterraneo.

Tra Fake News, Rapporto Frontex e il Codice di Condotta

A seguito del Rapporto Frontex, che individuava nell’operazione di salvataggio delle organizzazioni umanitarie sul Mediterraneo un fattore di attrazione per le stesse Ong di entrare nel mercato aperto dai trafficanti e dai governi, si è aperta nell’estate scorsa verso le associazioni umanitarie una vera caccia alle streghe, rinfocolata da fake news e da proclami populisti provenienti da ogni parte d’Europa.

Le audizioni in Commissione Difesa del Senato, in Italia, però non hanno mai trovato alcuna collusione tra Ong e trafficanti, ma la pressione politica ha comunque determinato la stesura, da parte del Governo italiano, di un Codice di Condotta da sottoporre alle organizzazioni umanitarie presenti in mare.

Tutto ciò ha reso il compito delle Ong presenti tra la Sicilia e la Libia ancor più complicato, dovendosi giostrare tra gli accordi tra l’Italia e la Libia, tra quelli con gli altri Paesi europei coinvolti nell’emergenza e con un’opinione pubblica che, quando non distratta e dirottata verso altre chimere, veniva convinta sempre più della poca “buona fede” dell’operato delle Ong.

La politica naufragata nella corrente di risacca

Il risultato è stato un progressivo abbandono forzato di alcune Ong dalle acque del Mediterraneo, passando dalle 9 imbarcazioni di Ong presenti a giugno 2017 alle sole 5 navi presenti oggi. Se l’allontanamento delle imbarcazioni “Prudence” di MSF e “Vox Hestia” di Save The Children è stato dovuto a una naturale ricognizione già programmata (venivano entrambe da sette mesi di salvataggi in mare), lo stesso non si può dire per MOAS la quale, pur firmando il Codice di Condotta, non ha ritenuto opportuno continuare la propria azione in acque “politiche”che, nel frattempo, si erano fatte ancor più torbide del canale di Sicilia.

Ora che gli sbarchi entreranno nuovamente in una fase di crescita però e il problema, già al limite la scorsa estate con 9 navi nel Mediterraneo, potrebbe essere devastante con la presenza di sole 5 Ong, i governi si sono ritrovati a lanciare una richiesta a diverse Ong (MSF, Proactiva e SOS Mediterranee) per tornare e  intensificare la loro presenza nelle acque tra l’Italia e la Libia. Una richiesta che è stata fatta dalla politica europea alle organizzazioni umanitarie quasi con il cappello in mano, ma di cui, di questi tempi elettorali, nessuno ne parla…

 

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