Terzo settore e comunicazione. Pur se la notizia ha avuto un largo eco, su stampa e web, la vicenda dell’apertura dell’ambulatorio di Emergency nel quartiere Ponticelli di Napoli è interessante per comprendere, a freddo, come si comporta la comunicazione sociale per il no profit.

Emergency non può costituire un valore di riferimento tra le associazioni no profi, si tratta infatti di un’associazione umanitaria che, seppur di fatti rientra tra le no profit, per organizzazione e per impianto strutturale si annovera tra le prime cinque grandi organizzazioni mondiali di assistenza sanitaria. Ciò nonostante, l’impegno a soccorrere i malati anche al di fuori dei territori di guerra è sempre stato un elemento nel dna dell’associazione. Quello napoletano rappresenta infatti il sesto centro operativo stabile aperto in Italia, dopo quelli di Bologna, Milano, Marghera, Polistena (in Calabria) e Castel Volturno. L’ambulatorio di Ponticelli è stato realizzato grazie ai contributi della Tavola Valdese e della raccolta fondi della campagna sms “la salute è un diritto di tutti”.

Il ruolo delle istituzioni tuttavia non è stato marginale in quanto lo stabile adoperato è stato messo a disposizione direttamente dal Comune e in tempi anche più tosto celeri. E qui già si intravede un doppio passo, o almeno una doppia velocità tra le richieste delle associazioni di territorio e le attenzioni, comprensibili, rivolte ad una grande associazione umanitaria. Quello che però preme sottolineare è la completa disparità di trattamento nella strategia di comunicazione degli organi di informazione tra operazioni come questa e altre, certo meno altisonanti ma altrettanto coraggiose. Il punto non è la miopia degli stessi organi d’informazione, ma proprio la strategia messa in campo, ovvero la quasi totale mancanza di un piano di comunicazione quando si inaugurano o si avviano altri progetti sociali. Perché?

Emergency ha una politica di comunicazione molto sobria. In occasione dell’apertura di Ponticelli il suo unico proclama è stato affidato ad un comunicato stampa fatto rimbalzare appena sulle proprie pagine social. È lo stesso trattamento che riserva ad ogni suo intervento, che sia un campo di pronto intervento in Uganda o che sia l’unità mobile che assiste i braccianti nelle terre di lavoro del meridione. La risonanza mediatica che questa notizia ha avuto è invece da collegare a gli strumenti delle istituzioni i quali sono gli unici, assieme ai grandi gruppi, a poter creare sistema e costruire un piano di comunicazione. Ben vengano questi esempi, che dimostrano la capacità della comunicazione istituzionale a farsi carico di dare visibilità alle realtà del no profit, anche a costo di una inevitabile strumentalizzazione della comunicazione sociale. Il bisogno di spazio, di far crescere un’opinione ed una informazione su tutte le esperienze veicolate nei progetti sociali non può che auspicare, sempre, una tale investitura da parte degli organi di informazione. E pure non si comprende invece come ogni volta la questione del terzo settore torna sempre nel dimenticatoio, divenendo poi marginale quando non completamente ignorata. È di qualche giorno fa la lamentela, giustificata, del direttore scientifico della scuola di Roma di fundraising il quale si sorprende di come possano essere già presenti i dati sul 2 per mille (rispetto alle dichiarazione dei redditi 2014) per le donazioni ai partiti politici mentre il no profit è ancora in attesa di conoscere le donazioni del 5 per mille relative alle dichiarazioni del 2013, con l’impossibilità da parte delle associazioni no profit di poter programmare, pianificare, accedere a finanziamenti che potrebbero far entrare subito in cantiere tutti i progetti sociali programmati. Ancora un doppio passo, una doppia velocità che rivela un ritardo da parte delle istituzioni verso il terzo settore che in questo modo, qui da noi ancora non decolla completamente.

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