Durante il percorso laboratoriale i partecipanti riceveranno la dispensa “Impatto” in modo graduale ed in relazione agli argomenti trattati. La dispensa percorre i temi del laboratorio incrociandoli con necessari approfondimenti e argomentazioni a sostegno del metodo sviluppato. Al suo interno si possono trovare non solo dei supporti illustrativi o documentali degli argomenti trattati ma anche riferimenti bibliografici e sitografici che arricchiscono l’esperienza formativa e di apprendimento del partecipante.
Il metodo IMPATTO è il risultato di venti anni di volontariato e attivismo e quattordici di svolgimento della professione di progettista sociale, sia in qualità di consulente che di formatore. Ciò ha significato trovare un giusto equilibrio tra il punto di vista personale sul mondo e l’acquisizione di elementi oggettivi fondati sulla ricerca sociale e la tecnica. Per questa ragione, quando sono chiamato a fare formazione, inizio sempre dalla necessità di chiarire che lo scopo della progettazione sociale è il cambiamento e che esso può realizzarsi a condizione di conoscere a fondo bisogni insoddisfatti e problemi che essi generano. E, per conoscenza, intendo esattamente il combinato disposto delle informazioni frutto dell’esperienza personale, della ricerca sociale e della tecnica. La prima parte di questo laboratorio muove esattamente dal favorire un approccio alla progettazione sociale in grado di rispondere ai bisogni che emergono dal contesto sociale nel quale si opera. Molto spesso la chiave interpretativa dei successi o degli insuccessi degli interventi sociali sta proprio nella valutazione delle attinenze tra gli interventi stessi e una reale capacità di risalire ai bisogni di un dato contesto. Questo elemento è centrale perché problemi simili possono essere indotti dal mancato soddisfacimento di bisogni diversi e dunque richiedono approcci e metodologie differenti. L’inefficacia di molte misure sociali è determinata dalla distanza tra la tecnica e le persone. È compito delle organizzazioni sociali ridurre tale distanza occupando spazi di prossimità e rivendicando voce nella determinazione delle programmazioni. Tale principio di fatto è ben saldo nella normativa di settore ma vive in una sostanziale aurea di formalità (un po’ come capita alla nostra democrazia sempre più formale che sostanziale).
Insomma in principio furono i bisogni! Da qui si declina il secondo cambiamento formativo atteso del percorso laboratoriale, vale a dire aumentare le competenze finalizzate alla progettazione degli interventi sociali. Riconosciuti i bisogni e declinati i problemi che scaturiscono dal loro mancato soddisfacimento, occorre fare i conti con l’arte del possibile, registrando, nel contesto dato e con gli strumenti a disposizione, gli scenari di cambiamento con obiettivi formulati in modo coerente e a cui associare stime di risultati concreti, misurabili e realizzabili. Ciò sarà possibile solo se l’organizzazione è consapevole della propria dimensione. Ma cosa significa per un’associazione acquisire consapevolezza della propria dimensione? Probabilmente gli enti di terzo settore che operano sul mercato di beni e servizi hanno maturato modelli organizzativi tali da poter “scattare una fotografia” chiara della propria dimensione. Molti altri enti, per lo più abituati a intervenire con azioni di animazione sociale e territoriale, hanno maggiori difficoltà a definire tale dimensione. Vedremo durante il percorso come un ente può costruire la propria baseline e come questo aspetto renderà più intuitivo e necessario il cambio d’impostazione nella definizione dei propri interventi sia in fase identificativa (la stesura del documento di progetto) che in fase esecutiva, utilizzando tutti gli strumenti utili alla valutazione dell’impatto prodotto. Qui è soprattutto la tecnica a venire in soccorso dei progettisti. Diventa importante sapere come e quando usare le matrici logiche e in che modo sviluppare indicatori settati sulla realtà dell’intervento, come stimare attentamente i costi del progetto. Probabilmente si sarà notato che ancora non si è parlato di come si finanzia un progetto. Il laboratorio prevede una sessione anche per questo. Va però specificato, proprio per le ragioni fin qui esposte, che il finanziamento del progetto è vista come un’attività terza rispetto alla progettazione sociale. Non meno importante, sicuramente complementare, ma con un vincolo di propedeuticità capovolto rispetto a quanto, troppo spesso, nella pratica accade. Più è forte e strutturata la baseline dell’organizzazione più il rapporto progetto-finanziamento può essere ciclico. Ciò però significa che l’organizzazione ha elementi, formalizzati e già strutturati in interventi sociali, tali da consentire di finanziare la propria proposta. Se questi elementi mancano (anche nel senso di non essere formalizzati nel modo giusto) il rischio è di concentrarsi più sull’azione che sul cambiamento che essa deve produrre. È con questa consapevolezza che il laboratorio punta ad aumentare la capacità di attuare la progettazione, ossia reperire le risorse. Dovrebbe ora apparire più chiara l’affermazione che spesso ricorrerà nel testo: la progettazione sociale non è riempire dei formulari. Si può dire che essa invece, è tutto ciò che viene prima.
Questa impostazione ci consente di ampliare le strategie per reperire le risorse di cui i famosi bandi (avvisi pubblici) sono soltanto una delle possibilità attivabili. Il laboratorio, dunque proverà ad attraversare anche altri strumenti di finanziamento in base alle caratteristiche dei costi di progetto e delle tipologie di intervento.
Chiaramente si tratta di competenze specifiche che il progettista sociale non è scontato che abbia. Insomma, non necessariamente un progettista è fundraiser e viceversa. In realtà anche nella definizione del progetto sociale stesso il progettista ha necessità di attivare delle collaborazioni (sociologi, mediatori, facilitatori etc). È impensabile immaginare il progettista sociale come un eremita concentrato sul proprio documento di progetto.
Un ultimo aspetto, oggetto di attenzione durante il percorso, riguarda i principi di collaborazione e di rete. Approcciare alla co-progettazione o al lavoro nel gruppo di progetto in modo spontaneo e senza metodo può risultare controproducente. Per questa ragione una sessione del laboratorio è dedicata alle metodologie e alle strategie di strutturazione del lavoro in gruppo o in rete.
Nella dispensa sono inoltre riportati dei casi di studio sulla base dei quali si svilupperanno simulazioni verosimili per applicare le conoscenze acquisite durante il lavoro d’aula.
Ai partecipanti si chiede, affinché il metodo sia efficace, l’applicazione nel role playing e nel lavoro fuori dall’aula, fondamentale per raggiungere gli obiettivi formativi.
Buon IMPATTO!