Il flusso di migranti che ha ormai investito l’Europa coinvolge direttamente il terzo settore e le associazioni no profit che devono fronteggiare l’emergenza con una rete sociale che possa contenere i grandi numeri messi in campo dai nuovi flussi migratori.

Il sistema di accoglienza italiano ha ormai superato le 100 mila accoglienze tra migranti (98 mila nel 204, stando ai dati del Governo), profughi e rifugiati distribuiti nei centri di prima accoglienza (Cda e Cara) e in quelli di seconda accoglienza, denominati Sprar. L’affollamento delle strutture ha già da qualche tempo imposto di fronteggiare l’emergenza con misure alternative soprattutto per i Sprar, ovvero i centri di seconda accoglienza dove mediamente gli immigrati passano i primi 12 mesi prima di venir trasferiti o raggiungere le proprie famiglie in altri Paesi europei. Le associazioni di volontariato e le organizzazioni umanitarie conoscono molto bene questa situazione in quanto operano su molti centri dislocati su tutto il territorio nazionale proprio al fine di “svuotare” i centri sovraffollati, costituendo in taluni casi una vera rete di supporto logistico e operativo alle strutture governative.

Su questo fronte, almeno in Italia, già dal 2011 (anno della prima grande ondata di immigrati) si sono sviluppate reti sociali tra associazioni no profit e cooperative sociali per permettere di recuperare la maggiore disponibilità possibile nel dare alloggi e sistemazione alle famiglie dei rifugiati. Con l’incremento dei nuovi corridoi dell’immigrazione, provenienti dai Balcani e diretti verso l’Austria, anche regioni meno organizzate come il Friuli e il Veneto si sono dovute adoperare per costruire in fretta una rete sociale di associazioni che, concertate dal Comune e dalla Provincia, sono chiamate a fronteggiare l’emergenza realizzando (ma sarebbe meglio dire “trovando”) posti letto per l’accoglienza.

Tuttavia in alcuni territori non sempre si riesce a risolvere il problema. È di questi giorni gli annunci sempre più forti da parte dei sindaci di città come Milano, Trieste e Gorizia, verso la campagna di adozione dei rifugiati, sintomo che evidentemente, la rete sociale del terzo settore non riesce più a contenere il fenomeno e quindi a dare una concreta mano a Stato e Regioni nella risoluzione del problema. Le associazioni di volontariato che in passato si sono occupate di gestire l’accoglienza dei rifugiati si sono anche trovate nella condizione di dover fronteggiare un malcontento sociale e uno scetticismo da parte dell’opinione pubblica nell’opera di accoglienza senza scopo di lucro. Indubbiamente alcuni casi, nei quali le associazioni si dimostravano più preoccupate a recuperare gli assegni dei fondi europei più tosto che provvedere ad una reale integrazione degli immigrati hanno mal predisposto la stessa opinione pubblica, ma la sensazione è che in questo delicato passaggio, tra centri governativi di prima accoglienza e associazioni no profit impegnate nell’accoglienza dei migranti, la politica riesce sempre ad infilarsi non per costruire reti di collaborazione, ma per populismi e tornaconto personali, esattamente come la stessa questione dell’immigrazione, con il risultato per il terzo settore di ritrovarsi esposto, pericolosamente, con una questione che viene di volta in volta bistrattata o osannata a seconda dell’occasione, ma mai realmente portata su un piano di risoluzione, di concertazione, di pianificazione.

I dati però dimostrano chiaramente come il problema dell’immigrazione, affidato e gestito dalle associazioni di volontariato, dalle cooperative sociali e da altri organi similari del terzo settore richieda delle cifre di spesa molto minori rispetto ai 30 euro giornalieri messi a disposizione dall’Europa per ogni immigrato, contenendo tali spese a poco più di un terzo. Non a caso la proposta dalle Amministrazioni per le politiche di adozioni da parte di singoli cittadini sembrano orientate proprio su una cifra simile (mediamente si parla di 300-400 euro al mese per ogni migrante ospitato), comparando così, almeno sotto il profilo economico, i costi di “gestione” in maniera analoga alle associazioni.

Questa cifra però può essere ritenuta sufficiente soltanto all’interno di una struttura di accoglienza più ampia, estesa in una rete di collegamenti che possa massimizzare le risorse e distribuirle in maniera tale da abbattere drasticamente gli sprechi. Ed è proprio quello che realizzano le reti di associazioni che si occupano da anni del problema, mettendo in relazione (ad esempio) gli sprechi della grande distribuzione con le mense per gli immigrati e costruendo reti di alloggi dove il rischio di dispersione o di alienazione (tipico invece dei Cda) è bassissimo.

Tutto questo con l’ausilio di tecnologie e strumenti che sembrano sempre più sul punto di dimostrarsi davvero utili, con app che permettono di mettere in tempo reale in connessione diverse associazioni di volontariato, monitorarne le criticità e le possibilità da sfruttare, dissipando così i flussi di accoglienza lì dove risultano aver raggiunto livelli di saturazione e connettendoli ad altre organizzazioni che possono fungere da ponte o da “sponda”, con una rete sociale capillare che tenga presenta di tutte le realtà del terzo settore territorio per territorio. Sono anche questi esempi di prototipi di innovazione sociale che permetteranno un nuovo orientamento al concetto stesso di emergenza e i flussi migratori dell’ultimo periodo non  potranno che dare un’ulteriore accelerata a questa evoluzione del no profit.

Si tratta allora di comprendere bene quali siano davvero le reti sociali di cui le associazioni di volontariato hanno bisogno, perché davvero utili a risolvere il problema, tralasciando invece quelli che sono soltanto slogan, motti, opinioni che cesseranno non’appena si cambierà l’emergenza e nessuno si vorrà più occupare dei migranti. Sarà lì che la rete sociale del terzo settore saprà dimostrare davvero la sua reale tenuta, compiendo un balzo in avanti notevole. Un balzo che lo porterà direttamente nella modernità dei propri tempi, insomma nel terzo settore del XXI secolo.

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Le associazioni di volontariato del XXI secolo ( II )

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