Dalla sua apertura, nello scorso settembre, lo Sharehaus Refugio di Berlino si è imposto come nuovo modello di rete sociale di respiro internazionale per l’inclusione sociale dei profughi e dei rifugiati politici, con una comunità a partecipazione popolare che sembra sempre più indicare le linee di sviluppo per il futuro del Terzo Settore.

I rifugiati arrivati a Berlino nel solo 2015 sono stati, cifre alla mano, oltre 90.000. Gli organi istituzionali hanno cercato di reggere a questo enorme impatto potenziando i propri uffici con l’inserimento di nuovo personale, talvolta raddoppiandolo, ma non sempre questa misura è bastata. Ma il problema principale per una tale gestione non è rappresentato dalla registrazione dei rifugiati, quanto dal loro effettivo inserimento nel tessuto sociale del Paese. Le associazioni di volontariato berlinesi si sono così trovate a fare rete sociale con le strutture della stessa Amministrazione, un po’ come accade ovunque dinanzi ad una tale emergenza, ma per alcune di esse la sola “gestione” del problema non costituiva una risposta adeguata e così hanno intrapreso progetti sociali innovativi nei quali lo sviluppo dell’emergenza rifugiati potesse inserirsi attivamente in un quadro più complesso di cooperazione sociale con gli organismi della città.

Da una di queste esperienze è nato lo Sharehaus Refugio, ideato dal giornalista free lance Seven Lager che ha messo in relazione apparati statali, associazioni no profit e l’associazione cristiana Berliner Stadt Mission che ha messo a disposizione uno stabile di cinque piani in uno dei quartieri centrali della capitale tedesca. Lo Sharehaus Refugio si pone così non solo come luogo per dare alloggio ai rifugiati e a tedeschi (33 alloggi divisi tra tedeschi e rifugiati) ma soprattutto come luogo di “condivisione” (appunto, share-haus) con l’intero quartiere che si ritrova inserito pienamente nelle attività e nel grande locale allestito al piano terra dell’edificio e gestito dagli inquilini dello Sharehaus.

L’innovazione sociale dell’idea di Seven Lager sta nell’apertura della rete sociale alla cittadinanza di un territorio e non soltanto alle sue strutture di accoglienza o alle sole associazioni di volontariato. Inteso in questo senso, il progetto sociale tedesco dell’accoglienza dei rifugiati si inserisce in una “rete totale” di partecipazione popolare nella quale sono coinvolti tutti i tedeschi, ma non con una modalità di sussidiarietà orizzontale come accade ad esempio per alcune esperienze italiane dove la “presa in carico” di un rifugiato viene ripagata con un contributo economico.

Si tratta, indubbiamente, di un passo molto lungo, soprattutto nello stato sociale attuale. L’ondata ideologica dell’accoglienza della quale la Germania si era fatta principale portavoce in Europa si sta già smorzando ma esperienze come questa dello Sharehaus dimostrano che, in taluni casi, grazie a progetti sociali che sappiano costruire un nuovo modo di intendere la stessa rete sociale l’integrazione non è più un’utopia. A ben vedere però questa innovazione sociale non è del tutto nuova ma somiglia molto ad un fenomeno che in Italia si è imposto alcuni anni fa creando centri di aggregazione culturale molto interessanti come il Macao di Milano o l’Asilo di Napoli. Esperienze, queste, che costituiscono alcuni degli elementi fondamentali dell’innovazione sociale attualmente in essere in casa nostra e sembrano lanciare nuove prospettive applicative di sviluppo per il Terzo Settore.

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La rete sociale dello Sharehause Refugio

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