La copertura giornalistica continua delle proteste distrae dalla vera guerra a Gaza?

da | Pagine Esteri






di Jack Hunter*Responsible Statecraft

(traduzione di Federica Riccardi)

Le proteste nei campus per la guerra tra Israele e Gaza e manifestazioni simili in tutti gli Stati Uniti sono in corso, con domande che dominano i titoli dei giornali sulla libertà di espressione, sugli abusi di potere da parte della polizia, sull’antisemitismo e sulle risposte delle singole università.

Anche se ci sono stati alcune “contro-proteste” pro-Israele, l’energia prevalente in questo momento è la solidarietà per i palestinesi e le migliaia di civili innocenti che hanno perso la vita a causa dei bombardamenti israeliani e del fuoco dei carri armati, per non parlare degli effetti secondari dell’assedio e della mancanza di assistenza sanitaria. Chiedono che il governo statunitense smetta di alimentare la guerra con le armi americane e che si arrivi a un cessate il fuoco per porre fine alle sofferenze dei civili.

Ma a questo punto i media – e quindi l’opinione pubblica americana – si sono concentrati più sulle proteste che sulle questioni di vita e di morte che i manifestanti intendono sollevare? Ciò sembra particolarmente evidente se si considera che la maggior parte dei servizi tende a trattare la condizione dei civili e le manifeste atrocità israeliane – ciò per cui gli studenti stanno effettivamente protestando – come una sorta di punto secondario o non ne parlano affatto.

Nel bel mezzo delle proteste della scorsa settimana, le Nazioni Unite hanno rivelato: “Continuano a emergere notizie inquietanti su fosse comuni a Gaza, in cui le vittime palestinesi sarebbero state trovate nude e con le mani legate, suscitando nuove preoccupazioni su possibili crimini di guerra nel contesto dei continui attacchi aerei israeliani”, ha dichiarato martedì l’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, OHCHR”.

L’articolo prosegue: “Lo sviluppo segue il recupero di centinaia di corpi ‘sepolti in profondità nel terreno e coperti di rifiuti’ durante il fine settimana all’ospedale Nasser di Khan Younis, nel centro di Gaza, e all’ospedale Al-Shifa di Gaza City, nel nord. All’ospedale Nasser sono stati recuperati 283 corpi, di cui 42 sono stati identificati”.

Sempre secondo la raccapricciante descrizione delle Nazioni Unite, “tra i deceduti ci sarebbero anziani, donne e feriti, mentre altri sono stati trovati legati con le mani legate e spogliati dei loro vestiti”.

La notizia del ritrovamento delle fosse comuni è nota. La maggior parte dei principali organi d’informazione l’ha riportata, ma al di sotto della proverbiale soglia di attenzione. Non è stato uno dei principali argomenti di discussione, nei notiziari via cavo o in cima ai titoli dei giornali negli Stati Uniti. Nel frattempo, i bambini hanno continuato a essere uccisi dai bombardamenti aerei in tutta Gaza e, in un triste sviluppo degli eventi, la settimana scorsa è morta nell’incubatrice una neonata prematura che era stata estratta viva dal grembo della madre morta dopo un bombardamento.

Ironia della sorte, l’attenzione dei media su storie come queste nei primi mesi di guerra, dal 7 ottobre, ha contribuito ai movimenti di protesta che sono esplosi negli ultimi giorni nei campus universitari. Che impatto questo può avere sull’opinione pubblica americana, quando la maggior parte dei notiziari parla delle proteste nei campus e non degli attacchi aerei in corso, della mancanza di cibo, acqua potabile, assistenza sanitaria o dell’imminente invasione di Rafah? Le condizioni sul campo non sono cambiate, ma a quanto pare l’interesse dei media sì.

Dopo che il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha recentemente annunciato l’intenzione di spingere le forze del suo Paese nella zona più occidentale di Rafah, martedì Ro Khanna, rappresentante democratico dello Stato di California, ha chiesto all’amministrazione Biden informazioni sulle vittime potenziali. Il Segretario alla Difesa Lloyd Austin ha risposto che l’offensiva israeliana ha già causato “troppe vittime tra i civili”.

“Vorremmo certamente vedere le cose fatte in modo molto diverso” rispetto alle operazioni nel resto di Gaza, ha detto Austin.

Quanti americani hanno visto questo scambio sui loro social media, invece della saturazione di filmati di protesta e del relativo vetriolo tra le due parti sul diritto degli studenti – o meno – di occupare edifici, costruire tendopoli, chiudere le lezioni e altro ancora?

I media dovrebbero avere la capacità di coprire più di una storia alla volta, ma spesso si rifiutano di farlo. Quindi, ironia della sorte, le proteste sono state persino una distrazione dalla guerra vera e propria in Medio Oriente. ABC News lo ha persino riconosciuto, riportando mercoledì: “Dopo settimane di copertura ininterrotta della distruzione e della morte nella Striscia di Gaza, i media di tutto il Medio Oriente si sono attaccati alle manifestazioni che stanno sconvolgendo i campus universitari americani per la guerra tra Israele e Hamas”.

Il rischio è che le proteste mettano in ombra le reali sofferenze di Gaza e questo è chiaramente ciò che sta accadendo. Sebbene le intenzioni di molti manifestanti siano nobili, c’è forse una distrazione migliore in questo momento perché Israele possa fare quello che vuole?

Questa non è un’argomentazione a favore o contro le proteste. È solo un’osservazione che probabilmente merita almeno un minimo di riflessione da parte di chiunque sia sinceramente preoccupato per l’attuale condizione dei palestinesi.

*Jack Hunter è l’ex redattore politico di Rare.us. Ha scritto regolarmente per Washington Examiner, The Daily Caller, The American Conservative, Spectator USA ed è apparso su Politico Magazine e The Daily Beast. Hunter è coautore del libro The Tea Party Goes to Washington del senatore Rand Paul.






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